Bandire dalle tavole italiane posate e pastasciutta. Tommaso Marinetti lo teorizzò nel suo Manifesto della Cucina Futurista pubblicato sulla Gazzetta del Popolo il 28 dicembre 1930.
Cosa ha a che fare la caprese, non la torta ma la bella composizione di fior di latte o mozzarella, pomodoro e basilico con la cucina futurista? Forse nulla, forse tutto. Se esistono tomi sulla storia della gastronomia e del gusto, ricettari di tutte le epoche dal medioevo ad andare avanti, nulla è mai tanto nebuloso quanto l’origine delle pietanze così come le conosciamo oggi. Si confondono analogie documentate, racconti orali, testimonianze ataviche, storie, leggende. Ebbene secondo una delle tesi più accreditate la vivace e nutriente vivanda sarebbe stata inventata da uno chef del lussuoso hotel Quisisana di Capri, ove, pare, il buon Marinetti con una certa frequenza soggiornasse. Del resto i colori del piatto richiamano il tricolore nazionale e la composizione appare conforme allo spirito del letterato futurista e dei suoi precetti culinari.
Il manifesto prevedeva, del resto, “l’invenzione di complessi plastici saporiti, la cui armonia originale di forma e colore nutra gli occhi ed ecciti la fantasia prima di tentare le labbra”.
Nella caprese ben è dato rinvenire tutte queste caratteristiche. Qualche veterocomunista, nostalgico e indefesso, probabilmente storcerà le labbra innanzi a queste righe e cestinerà, in barba di ogni etica anti-spreco, ciuffi di basilico, monticelli di pomodori e zuppiere di mozzarelle, inorridito dal possibile sospetto di collusione ex-post col movimento artistico ritenuto fiancheggiatore del ventennio fascista.
Liberi da codesto ideologismo di riporto, continuiamo a beare il nostro palato della mozzarella intramezzata a fette di pomodoro e foglie di basilico. Piacere profondo di un piatto in cui trovano perfetto equilibrio dolcezza, acidità, aromaticità e fragranza. Gli occhi subiscono la malia della vivezza dei colori e, diremmo, in sintonia col Marinetti, infervorano le papille che, lo si avverte, si protendono per gustare. La caprese, in fondo, non passa mai di moda esattamente come la tentazione della carne.
Il tempo passa e la fedeltà all’ispirazione marinettiana deve pure imporre originalità che spezzi il sovrappeso della tradizione. Per la caprese, in qualche modo simbolo di una logorante e insulsa ripetitività, osiamo suggerire un pizzico antimediocrista di sale Maldon tra ciascuna fetta di pomodoro e mozzarella.
Si tratta di un sale, su questo forse il nostro illustre letterato avrebbe da ridire, britannico che per il particolare processo produttivo si presenta in “flakes” ossia scaglie. Per effetto di questa peculiarità si scioglie più lentamente e conferisce maggior vigore al gusto. E’ evidente, infatti, che la puntura sapida di un granellino non può pareggiare quella di una scaglia la cui superficie di contatto con la nostra lingua è nettamente superiore.
E allora si spinga con furore la caprese verso un nuovo orizzonte, internazionalizzato e vivificato dal candido impeto del sale Maldon.
(Il sale Maldon è facilmente reperibile ad un costo più che ragionevole nelle migliori rivendite di gastronomia oltre che online su innumerevoli siti di commercio a distanza).