di Danila De Lucia
(Sanniopress) – Il sindaco della nostra città, Fausto Pepe, ed il suo vice, Raffaele Del Vecchio, giustamente continuano a manifestare grande esaltazione per l’inserimento di Santa Sofia nella lista dei beni tutelati dall’Unesco. A parte il dovuto entusiasmo, ci si attende, infatti, grandi cose da questo accadimento che, come abbiamo scritto la scorsa settimana, rimarrà nella nostra storia. Soprattutto i flussi turistici dovrebbero essere in un certo senso “stimolati” verso l’alto, con un incremento che ci si attende dovrebbe rasentare il 30%. ”È questo, infatti, il trend che si è registrato per gli altri siti che hanno avuto il riconoscimento dell’Unesco” -dichiara Del Vecchio. Anzi, si aprono nuovi canali di finanziamento: “Parteciperemo al bando per attingere ai fondi speciali previsti dalla legge 77/2006 -precisa il vicesindaco-. Anche alla Regione proporremo dei progetti già pronti, chiedendo inoltre la creazione di un canale istituzionale privilegiato. Intendiamo, inoltre, affidare al maestro Mimmo Paladino il compito di realizzare il nuovo altare e gli arredi sacri della chiesa di S. Sofia”.
Ovviamente il tutto è suffragato da un ampio Piano di Gestione, minuzioso e ben realizzato, al quale anche il nostro Comune è stato “obbligato” dall’Unesco, non solo per far sì che la pratica potesse procedere, ma anche perché è nel tempo che il bene sotto tutela Onu deve essere reso fruibile e ben conservato.
Leggendolo mi sono data una spiegazione a tante cose fatte e dette (o promesse) dalla passata amministrazione Pepe, ma ho avuto ben chiaro anche un altro pensiero: chi renderà adeguato merito ad Antonio Pietrantonio che è stato il primo, e non smetteremo mai di dirlo, a dare una svolta alla nostra città? Saremmo mai arrivati all’importante risultato del quale disquisiamo, se lui non avesse intuito che la vocazione da dare a questo territorio è esclusivamente quella culturale? Certo, di acqua da allora ne è passata sotto i ponti, ma il primo a credere che era possibile pedonalizzare il Corso Garibaldi, e creò anche le basi per farlo seriamente, è stato lui. E sì che questa è stata una delle condizioni fondamentali perché la Chiesa di Santa Sofia fosse presa in considerazione per l’inserimento nella candidatura seriale.
Ed ancora, proprio esaminando il Piano di Gestione, ci si può rendere conto che il contributo dato dalla Soprintendenza negli anni è stato comunque enorme e che, probabilmente, se un problema di fondi c’è, è dovuto soprattutto al fatto che Benevento è una città “troppo” storica, “troppo” piena di beni da preservare. Insomma, troppo bella. Così come significative sono state le collaborazioni con la Provincia, la Curia e l’Archivio di Stato. Ed ancora guardando il Piano si legge chiaramente di progetti che questa amministrazione ha già trovato in fase di avvio (da Piazza Ponzio Telesino all’Arco del Sacramento) e che bene ha fatto a proseguire e “chiudere”.
È bello sfogliare l’elegante faldone anche per intravedere la città del futuro: a quanto pare è nelle intenzioni dei nostri amministratori “mettere mano” anche all’anfiteatro della Stazione Appia (per capirci), per il quale ci sarebbe un progetto di ripristino per oltre 5 milioni di euro; oppure, cosa più probabile la sistemazione dello slargo tra la Prefettura e Vico Umberto I, che dovrebbe diventare un vero e proprio salotto, tale da assumere le sembianze di un degno ingresso per la piazza che porta alla “tutelata” Santa Sofia. Così pure ci è apparso il progetto di risistemazione del Bue Apis a viale San Lorenzo, elegante e sobrio.
Insomma, è la prima volta che vediamo realizzato qualcosa che abbia a che fare con progettualità a lungo termine: dagli anni Ottanta ad oggi si è pensato solo ed esclusivamente alla valorizzazione culturale di Benevento. Certo, con qualche scivolone e alcune promesse mancate, ma in fondo si è riusciti a creare qualcosa di tangibile. Ora tocca ai beneventani credere davvero in questo progetto che non è più solo immaginifico, ma è divenuto qualcosa di tangibile. E se tutto questo porterà anche ad uno sviluppo economico ben venga, ovviamente.
In chiusura devo riportare di una cordiale telefonata ricevuta dal sindaco Fausto Pepe, giovedì scorso: il giornale era appena arrivato in edicola. Inutile precisare che ha avuto garbatamente a che dire della nostra precisazione sui pannelli che erano apparsi sul campanile e che ci eravamo presi la briga di contestare. “Ebbene -ci ha detto Pepe- testo e dimensioni sono stati chiaramente specificati dall’Unesco”. Siamo certi che sia così, ma era proprio necessario porli sul campanile, continuiamo a chiederci?
Poi, ad una mia precisa domanda sull’idea lanciata di cambiare il nome alla piazza e di omaggiare l’operazione Unesco con una nuova definizione che potrebbe essere Piazza della Civiltà Longobarda, il sindaco si è detto molto interessato. Ma si sa, tra il dire e il fare…
Un’ultima considerazione: fermo restando che a Giacomo Matteotti potrebbe essere intitolata un’altra via importante (qualcuno ricorda chi è il Principe di Napoli al quale è dedicato il bel viale alberato che porta alla Stazione?), perché non seguire le orme delle grandi città? A Milano dove c’è il famoso Duomo, la piazza si chiama Piazza del Duomo; così a Venezia Piazza San Marco -e di esempi se ne potrebbero fare tanti altri. Del resto, hai voglia di dire, ma tutti i visitatori, e speriamo che da oggi vadano anche oltre l’auspicato surplus del 30%, se vorranno trovare il “nostro” bene tutelato dall’Unesco lungo la via dei Longobardi, chiederanno sempre e solo di Piazza Santa Sofia.
(tratto da Messaggio d’Oggi – n. 25 del 7 luglio 2011)