di Antonio Tretola
(Sanniopress) – Il rapporto che si instaura tra chi fruisce d’ un’opera e l’artista che l’ha eseguita è completamente incorporeo: una relazione eterea, smaterializzante.
Nessuno davanti al “Canto Notturno di un Pastore errante dell’Asia” va col pensiero alla figura smunta e smagrita di Leopardi, nessuno davanti alle “Sette Opere di Miseircordia” si sofferma a pensare alla vita sregolata e sfrenata che ebbe Caravaggio.
Ecco perche quando si decide di assistere alla lettura di brani di un libro, alla presenza dello scrittore stesso, il rischio è che tutto a un tratto l’incantesimo si spezzi: un’esperienza sostanzialmente immateriale quale la lettura perde un pò della sua magia nel contatto diretto, visivo con l’autore.
E’ chiaramente un rischio che si corre con gli artisti veri, quelli in grado di suscitare emozioni autentiche: uno di questi, come sanno quelli che lo hanno letto, è Mario Desiati, una penna tra le poche a poter rinverdire la tradizione del romanzo realistico italiano del Novecento, molto più che prestigiosa, da Federigo Tozzi a Natalia Ginzburg.
E Desiati, in parte, l’incantesimo lo ha rotto davvero: chi si aspettava gli svolazzi, l’ardito filosofeggiare, l’astruso intellettualismo che spesso appesantisce molti incontri “chic-culturali” ha dovuto ricredersi: Desiati ha il dono della scrittura ipnotica (leggere “Ternitti” per credere) quando è alla scrivania e quello della concretezza quando parla, forse il retaggio di quella professioncina tanto bistrattata che ha svolto e svolge con passione: quella di giornalista.
Se spesso chi lo intervistava voleva trasportarlo nell’innocuo ( ed anche un pò banale) ambito della presunta superiorità delle donne sugli uomini ( è donna Mimì, la protagonista di “Ternitti”), Desiati spiegava che al centro del romanzo non c’era nè Mimì, ne nessun’ altra donna: ma anzitutto l’amianto, quel bel regalo che l’industrializzazione selvaggia ha recapitato a tanti operai meridionali, prima spremuti da lavori massacranti, poi inceneriti da una liquidazione che no0n era la buonuscita ma il cancro provocato loro dal “ternitti”, l’eternit di cui Desiati ha denunciato l’abuso vergognoso.
Poi questo cantore della provincia italiana ha citato un dato dello Svimez: un milione e duecentomila giovani hanno lasciato il Sud negli ultimi cinque anni: una desertificazione angosciante, un colpo al cuore del Sud.
Paralava del suo Salento: “ormai il Sud si è privato di un intera fascia di uomini e donne tra i trenta e quaranta, laureati e brillanti, che hanno scelto di abbandonare le loro terre d’origine: alla ricerca di vita e di guadagno.”
Parlava del Salento e forse non sapeva di parlare anche e soprattutto del Sannio.
Parlava di letteratura ( e forse per traslato di giornalismo, anche) e quindi anche di morti sul lavoro, società, giovani, spreco dei fondi. Insomma più che parlava, faceva: “faceva cultura”.