di Guido Bianchini
Francamente non so se fosse caso di inaugurare una rubrica calcistica, perché, senza alcuna vis polemica, negli ultimi tempi, complice l’entusiasmo crescente intorno alla Strega, si sono moltiplicate e rispetto a onde da cavalcare ad hoc per sembrare più beneventan pop e a spazi ormai saturi e densi di retorica, nonché ad una serie di improvvisazioni da neofiti del mondo pallonaro, forse sarebbe preferibile tacere e aspettare che la bolla mediatica si sgonfi. Poi mi son detto che, in fondo, la mia prospettiva sulla questione è sempre la stessa da anni (forse da quando ho scoperto che una penna, divenuta ormai tastiera, può essere un valido strumento di espressione). Sono un semplice appassionato di calcio che vede, nonostante le mille e più contraddizioni del pallone, ancora in una sfera di cuoio lo strumento da cui nascono storie da raccontare. Storie come quelle di mio nonno Guido e della sua San Vito diventata Sporting Benevento, la sua squadra diventata presto anche mia, perché da uomo semplice amava portarmi in posti divertenti e il mio preferito divenne il Santa Colomba, dove tutti erano contenti, anche tra insulti e sputi di semi, perché si sentivano partecipi di una battaglia di 90 minuti. Quella squadra, come è noto, ha lottato a lungo, 87 anni per uscire dall’inferno della terza serie, su campi che definire stadi è eccessivo e poi in due anni il miracolo: un doppio salto di categoria inimmaginabile ci ha proiettati nell’Olimpo del calcio.
Come molti mi dicevano lo scorso giugno, le parole sono difficili da trovare, perché siamo una piccola realtà non abituata ai grandi palcoscenici e ci sentiamo sopraffatti da qualcosa di più grande di noi. Le parole però, soprattutto se scritte, vanno trovate per lasciare traccia nella memoria di tutti e di ciascuno di quest’annata calcistica surreale, di quando sul carrozzone della massima serie c’è stato spazio anche per una fluttuante Strega. Cercherò di farlo nella maniera più leggera possibile, per stemperare con qualche risata la seriosità epica con cui spesso si racconta il calcio, dimenticando che alla base c’è gioia, goliardia e tutta una gamma di emozioni capaci di far tornare tutti bambini. Il mio punto d’osservazione nella maggior parte dei casi sarà uno spicchio di curva, quello che occupo da anni con altri malati di giallorosso, per cui non vi aspettate disamine oggettive, dissertazioni cavillose, tanto ormai c’è anche la moviola in campo di biscardiana memoria. Vorrei solo tornare bambino insieme a chi mi leggerà e magari contribuirà ad arricchirne i contenuti con le sue sentenze al sapor di Borghetti e mi consentirà di raccontare le emozioni stregate con quel colore e quel calore tipico di uno stadio o di una trasferta al seguito, senza disdegnare gli umori di Casa Bianchini, perché, come in tutte le case dove la passione giallorossa unisce più generazioni, veramente diamo spettacolo.
La rubrica si chiamerà A denti stretti. L’ha suggerito il Benevento sceso in campo a Marassi, per lo storico debutto, mostrando sul campo che anche se tiri fuori un gioiello come quello di Ciciretti, dovrai sudare e lottare su ogni pallone perché ogni cedimento può risultare fatale e compromettere la storia di una partita. Denti stretti sul campo dunque, ma anche e soprattutto da casa e sugli spalti. Forse sarà il vero paradosso di quest’annata: un doppio salto che per i fedelissimi della Strega significherà spesso un ritorno ai patemi da Lega Pro, ai nervi a fior di pelle e alla tipica ansia da febbre a 90, il cui sintomo più evidente sono appunto i denti stetti, perché il calcio, per chi lo ama visceralmente, è gioia, spesso scaturita da minuti, ore, se non addirittura anni di sofferenza sportiva condivisa. I sorrisi a tutti denti per la B e quelli ancora più smaglianti per la promozione in A, non sarebbero stati così belli e autentici, se dietro non vi fosse il ghigno, rigorosamente a denti stretti, di chi ha mangiato la polvere dei campetti di C e ora è pronto ad insegnare ai più giovani come si buttano sangue, sudore e “nervatura”, persino in quel paradiso all’improvviso chiamato serie A.