di Giancristiano Desiderio
Il libro di Antonio Polito – Prove tecniche di resurrezione (Marsilio) – si sarebbe potuto intitolare anche Le mie confessioni o Esame di coscienza di un giornalista. Infatti, il testo mette insieme il privato e il pubblico e le pagine che mi sono più piaciute sono quelle “intime” dove il giornalista si spoglia del suo ruolo e denuda il suo cuore parlando della morte del padre, dell’amore coniugale, della sua seconda paternità e, facendo testamento, del modo in cui vorrebbe morire: senza soffrire, certo, ma anche senza essere “accompagnato” da una macchina perché “desidero invece essere tenuto letteralmente per mano da chi mi ama”. Ecco, di amore in questo libro, che procede poggiando ora su san Paolo ora su Cesare Pavese e sempre con uno stile giornalistico britannico, ce n’è tanto ed è il motivo che mi ha indotto a dire che, forse, il titolo poteva essere diverso e si sarebbe potuto mettere in luce la “confessione” o l’ “esame” piuttosto che la “resurrezione”.
Cos’è la resurrezione? E’ il bisogno di una nuova vita quando si è giunti all’ultimo giro di boa, all’ultimo quarto dell’esistenza e, insomma, si è consapevoli che si sta invecchiando. Oggi la moda, che a suo modo è una dea, cosa impone a chi invecchia? Che ringiovanisca. Come? In mille modi che hanno ora del miracolistico, ora del patetico mentre il primo obiettivo che ci si dovrebbe porre è “restituire agli anziani il diritto di non essere giovani”. Il giovanilismo è una forma di dittatura culturale del nostro tempo che, a ben vedere, è stata anche all’origine delle dittature politiche del XX secolo. Il vitalismo andando oltre i suoi limiti naturali dovrebbe incontrare da una parte l’estetica dunque la bellezza, la poesia, e una ragione storica delle umane cose, e dall’altra l’etica in cui la vita individuale, che è la radice stessa della vitalità, diventa un’opera in cui l’uomo riceve e dona il bene. Ma il vitalismo non riesce ad uscire dai suoi angusti limiti e immagina che la vita umana nella sua interezza altro non sia che il prolungamento indefinito del benessere fisico che quando, per i motivi più vari, decade, manca, si ammala, pone l’uomo davanti alla morte e alla sua umanissima condizione. Così proprio la vitalità – quella che io chiamo la selva nel libro La Selva. Un tentativo di serenità nel mezzo della tempesta – che ci mette e toglie dal mondo diventa ora il bene quando siamo nel vigore degli anni, e se ci è andata bene, e ora il male quando la giovinezza, che sempre fugge, passa e va via e al vigore subentrano cambiamenti, acciacchi, dolori, stanchezze e, insomma, si annuncia la vecchiaia e il tramonto. Il libro di Polito – la sua confessione a se stesso o il suo esame di coscienza – è il tentativo o, come dice il titolo, la prova tecnica per dare una nuova forma alla vitalità nell’ultima stagione dell’esistenza. Ecco perché il cuore del libro, al di là dei consigli, delle esperienze personali e dei “dati” sociologici che vengono snocciolati su tecnologia, diete, sesso, invecchiamento della popolazione, riguarda proprio la consapevolezza del limite dell’umana condizione che Polito riesce a declinare sia sul piano esistenziale sia nella dimensione politica.
In quest’ultimo caso Antonio Polito dice apertamente di aver cambiato idea e di essere, ormai, un conservatore e di aver capito che il nocciolo della questione politica non riguarda più il convincimento di voler e dover cambiare il mondo ma, piuttosto, quella di dover cambiare solo se stessi (del resto, quella di voler cambiare il mondo è sempre stata un’idea cretina perché il mondo sta bene come sta e cambia al di là delle nostre intenzioni mentre noi possiamo dare il nostro contributo solo e soltanto se governiamo noi stessi). E’ questo un discorso valido solo per chi si trova nell’ultimo quarto della vita – al di là dei sessant’anni – o è valido per tutti? Riguarda tutti perché il primo corno del dilemma, ossia l’idea di cambiare il mondo, si basa su una forma di inganno o di autoinganno in cui si ritiene che ci sia un sapere assoluto in grado di sposarsi con un potere e cambiare il mondo o, se volete e più vi piace, indirizzare la storia verso la necessità che il sapere e il potere conoscono per dar vita alla perfezione o alla vera democrazia, come in parte accade oggi tra parodie e sceneggiate. C’è solo un problema: che non si conserva o non si custodisce la condizione umana e si privano i singoli e plurali uomini di risorgere in vita a “vita nova”.